News

Dopo aver attraversato una gola scavata nella roccia, appare d’improvviso un piccolo presepe incastonato in blocchi di pietra millenaria, con i suoi balconi fioriti, le sue case con facciate di pietra locale, protette dalle Piccole Dolomiti Lucane, guglie sospese tra cielo e terra: è la città-natura di Castelmezzano, uno dei “Borghi più belli d’Italia”, cuore del Parco di Gallipoli Cognato Piccole Dolomiti Lucane.In questo luogo nascosto della Basilicata, la natura è in piena sintonia con il suo centro storico e la sua comunità. Le rocce sono parte integrante della vita dei suoi abitanti, quelle pietre a cui il trascorrere dei secoli, l’alternarsi di piogge e venti, ha donato le sembianze di creature viventi, che ispirano la fantasia popolare a denominarle in modo creativo, “becco della civetta”, “bocca di leone”, “aquila reale”, “Grande Madre”. É il tipico centro medievale che da secoli vive la sua eterna bellezza, senza scomporsi. Tra il VI e il V sec. a.C. si spinsero fin qui, provenendo dalla Valle del Basento, i coloni Greci che fondarono Maudoro o “mondo d’oro”, probabilmente per la particolare protezione che offriva. Nei secoli successivi, XI-XIII sec., giunsero i Normanni che edificarono un imponente Castello, di cui restano ancora oggi resti delle antiche mura. La fortificazione, posta nel punto più elevato del paese, si collocava tra i Castelli di Pietrapertosa e Brindisi di Montagna, un Castrum Medianum. Da qui Castello di Mezzo e poi Castelmezzano.Arricchiscono il centro storico i suoi maestosi palazzi nobiliari, il Palazzo Ducale - un edificio settecentesco caratterizzato da un portale decorato con grosse bugne e da una loggia - appartenuto ai De Lerma, signori di Castelmezzano,  e Palazzo Coiro, che si distingue per le sue ampie logge decorate da ringhiere in ferro battuto, in una tipica architettura ottocentesca.La struttura del centro storico presenta i tratti tipici di un borgo medievale, la cui vita era scandita dai riti religiosi e dai ritmi della natura. Nel cuore del borgo è situata, infatti, la cattedrale intitolata a Santa Maria dell’Olmo, al centro di Piazza Caizzo, protettrice del borgo fino al 1855. In stile romanico, la facciata al suo interno è impreziosita dalle opere di pittori lucani molto famosi nel periodo artistico collocato tra la fine del manierismo ed il barocco: tra questi Giovanni De Gregorio, detto il Pietrafesa. Dalla piazza è possibile affacciarsi sugli scorci ed i paesaggi sottostanti, come da un balcone sospeso nel vuoto.La storia millenaria del borgo lucano riecheggia ogni anno nello Spettacolo Notturno Polimediale  “La Grande Madre”, ideato e curato da Mimmo Sammartino,  una narrazione suggestiva che coinvolge i suoi spettatori mediante effetti speciali, luci, suoni e la profondità di una voce narrante. Le immagini, che raccontano la vita passata del borgo lucano, vengono proiettate in uno scenario incantato: la parete rocciosa del Castello Normanno. É possibile assistere allo spettacolo ogni anno nella stagione estiva, dall’ultima settimana di luglio fino al 15 settembre. Castelmezzano e Pietrapertosa sembrano osservarsi immobili da secoli, mentre ormai in simbiosi vivono una nuova epoca storica, quella della modernità. Un tempo nuovo, che ha portato con sé lo sviluppo del turismo e l’arrivo di migliaia di visitatori ogni anno. Tra i due borghi è possibile provare l’esperienza entusiasmante del “Volo dell’Angelo”: un percorso sicuro su un cavo di acciaio che permette una vista spettacolare. E si può vivere l’emozionante “Percorso delle 7 pietre”- per conoscere Vito e il suo ballo con le streghe, lungo un antico tratturo -, scalare la Gradinata normanna scavata su una guglia rocciosa, per non perdersi i vasti panorami sulla Valle del Basento, percorrere le vie ferrate tra i suoni e i colori di una natura selvaggia.L’identità del borgo lucano e la sua tradizione millenaria si conserva intatta nella Sagra du ‘Masc’ o Festa del Maggio, uno dei riti arborei di antica origine che contraddistinguono anche Accettura, Pietrapertosa e Oliveto Lucano. A Castelmezzano ogni anno durante la festa di Sant’Antonio, festeggiata il 12 e 13 settembre, si celebra il matrimonio degli alberi. Dopo aver scelto ‘l’albero della vita’ tra gli agrifogli dalle cime più floride, la prima domenica di settembre i boscaioli scelgono il cerro più alto e rigoglioso del bosco. Entrambi verranno uniti nello sposalizio simbolico per celebrare la solennità di Sant’Antonio da Padova, tra canti, balli e sapori di origine contadina. Si celebra così la vita in questo angolo della Basilicata, ancora oggi, in un rito propiziatorio senza tempo.Di recente, i borghi di Castelmezzano e di Pietrapertosa sono stati citati nel rapporto mondiale pubblicato dalla FAO, l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura, e dall’UNWTO, l'Organizzazione mondiale per il Turismo, dal titolo "Mountain Tourism: towards a more sustainable path” (Turismo di montagna: verso un percorso più sostenibile), ponendo l’attenzione sul turismo di montagna sostenibile. Anche i due borghi lucani emergono orgogliosamente come una best practice da replicare. Entrambi, a partire dalla Società pubblica del “Volo dell’Angelo”, sono diventati nel tempo un esempio di economia sostenibile, un modello di resilienza che si ispira a tecniche di valorizzazione del patrimonio naturale, culturale ed enogastronomico.a cura di Maria Teresa Merlino Scorcio panoramico di Castelmezzano – ph Lorenzo Palazzo Castelmezzano di notte – ph Lorenzo Palazzo Il percorso delle Sette Pietre – ph Lorenzo Palazzo

A due passi dall’asburgica Trieste,  città dall’atmosfera nobiliare, il Castello di Miramare è l’emblema di ciò che fu la dinastia degli Asburgo, anche in Italia. Ricchezza e potere.Edificato sul golfo di Trieste, con occhio nitido, osserva da un lato le acque dell’Adriatico scorgendo in lontananza le coste istriane, dall’altro si gode i colori e i suoni della ricca vegetazione del promontorio di Grignano. Percorriamo un lungo viale alberato mentre le nostre narici si inalano dell’intenso profumo del sottobosco, ancora umido delle piogge della stagione.Lo scorgiamo, con le sue bianche torri di carducciana memoria (Giosué Carducci compose nel 1878 un’Ode barbara dedicata a “Miramar”), la sua struttura architettonica interamente merlata, il suo aspetto imponente e regale che  richiama il gusto romantico del secolo in cui venne progettato, in perfetta simbiosi con gli elementi medievali, gotici e rinascimentali. Eccolo in tutta la sua eleganza e sobrietà. Si mostra alla nostra vista in tutto il suo splendore e ci accoglie al suo interno come solo i grandi aristocratici sanno fare. Carl Junker fu l’architetto viennese che lo progettò nel 1856, ispirandosi ai manieri austro-tedeschi del neo Rinascimento. I suoi committenti furono l’arciduca e imperatore del Messico Massimiliano d’Asburgo e sua moglie Carlotta del Belgio. La residenza fu probabilmente un ampliamento della rocca già esistente. Gusto regale. Si intrecciano in tutto il Palazzo stili architettonici diversi. E gli ambienti riecheggiano gusti eclettici. Goticheggiante <<l’Oratorio domestico>>, in Rococò olandese il salotto azzurro, mentre quelli in stile giapponese e cinese rievocano il gusto orientale. Le venti sontuose stanze del Castello conservano gelosamente i loro arredi originari. Di grande fascino le Sale di Massimiliano e la più caratteristica camera da letto dell’imperatore, arredata come la cabina di una nave. La Sala del trono è il simbolo del potere di una famiglia che dominò su un vastissimo impero e che fu la Casa più antica d’Europa. Rimaniamo incantati dalle ricche tappezzerie in rosso e dai manufatti in oro. Collezioni  naturalistiche. L’arciduca ideò di sua mano il progetto del grande parco, dove elementi all’inglese si fondono con altri all’italiana. Studioso di botanica fece pervenire, con la volontà della principessa Carlotta, rare e pregiate piante provenienti da molte parti del mondo. Scopriamo che, per la progettazione del giardino (venti ettari di terreno), Massimiliano si avvalse dell’architetto Carl Junker e che, per la parte botanica, si affidò al giardiniere di corte Josef Laube. Incuriositi ci soffermiamo ad osservare con attenzione. Il pensiero va ai lontani mondi esotici. Essenze orientali. Non lontano dal parco fu edificato il Castelletto. Nido d’amore per il periodo precedente alla costruzione della grande dimora, ultimata nel 1870. Luogo di tristi ricordi e della lunga malattia di Carlotta (soffrì di una malattia nervosa) iniziata dopo l’uccisione dell’arciduca in Messico, nel 1867. Scrigno di oggetti preziosi. A partire dal 1955  il Castello fa parte del patrimonio artistico dello Stato ed è tutelato dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali. E’ oggi un Museo aperto al pubblico dove si possono ammirare, oltre agli arredi degli appartamenti imperiali, i dipinti di Carlotta e molte collezioni di rata bellezza e valore. A cura di Maria Teresa Merlino Dimore Storiche – Castello di Miramare Andrea Di Florio Dimore Storiche – Castello di Miramare Fabio Pratali Dimore Storiche – Castello di Miramare Herbert Frei Dimore Storiche – Castello di Miramare Isabella C. Soniak Dimore Storiche – Castello di Miramare Mauro & Sara Dimore Storiche – Castello di Miramare medioman 1 Dimore Storiche – Biblioteca di Massimiliano

Nel cuore dell’alta Val d’Agri, nel territorio in antico noto come Ager Grumentinus, a circa 15 km dalla città romana di Grumentum, nel marzo 2006 la Soprintendenza ha individuato una grossa villa romana durante attività di archeologia preventiva, connesse allo sfruttamento delle risorse di greggio presenti nel sottosuolo. Il sito, collocato sulle sponde del torrente Molinara, in posizione pedemontana, orientata a sud, posto strategicamente lungo la via Herculia, è stato scavato con indagini proseguite sino al 2017 e presenta fasi di frequentazione, intervallate da periodi di abbandono, che vanno almeno dal II sec. a.C. al VII sec. d.C. Dalle indagini, si è appurato che l’abitato presenta le caratteristiche di una canonica villa rustica, suddivisa in pars rustica, pars fructuaria e pars urbana.Nella prima fase, il complesso architettonico era articolato in due corpi di fabbrica separati da un ampio cortile quadrato: a est dello stesso erano collocati gli alloggi servili, le stalle e un impianto oleario (torcularium); a sinistra, il corpo di fabbrica principale, con un ingresso (vestibulum), l’atrio quadrato centrale e, intorno a questo, le camere da letto (cubicula) e le sale da pranzo (triclinia). Il settore nord era occupato da altri ambienti di servizio, destinati alla produzione del vino (con torchio, vasca di decantazione e dolia per conservare il vino) e un impianto di lavorazione delle lane.Distrutta da un terremoto tra la fine del I e l’inizio del II sec. d.C., la villa venne ricostruita e monumentalizzata attorno a un grande peristilio rettangolare porticato che ne divenne il fulcro. L’accesso principale fu spostato sul lato opposto (sul lato ovest) e, oltre l’atrio, gli ambienti residenziali si collocavano attorno al grande peristilio. La straordinarietà di alcuni ritrovamenti ha permesso di considerare l’insediamento di particolare interesse archeologico, anche per via della presenza di marmi pregiati e di bellissimi resti scultorei. Numerosi oggetti di pregio raccolti nelle stratigrafie del sito narrano la vita quotidiana nella villa: eccezionali sono alcuni degli oggetti in ceramica, ornamenti, strumenti per la cura della persona, monete. Inoltre, grazie alla scoperta di numerose tegole bollate, gli archeologi hanno individuato uno dei proprietari del latifondo, che commissionò la realizzazione dell’impianto della villa nel I sec. d.C. Si tratta di Caius Bruttius Praesens, esponente di una potente e ricca famiglia lucana, già nota per diverse attestazioni epigrafiche proprio a Grumentum. Apparteneva alla stessa famiglia Bruttia Crispina, moglie dell’imperatore Commodo: in questa fase, alla fine del II sec. d.C., probabilmente la villa divenne di proprietà della famiglia imperiale. Fu forse proprio in questa fase che il complesso venne gestito da un liberto, tale Moderatus, di cui si conserva un anello con sigillo.Dopo una fase di abbandono, l’impianto fu reinsediato nel IV sec. d.C. e fu frequentato almeno fino alla prima metà del VII sec. d.C. A partire dalla metà del VI sec., il complesso fu riorganizzato con notevoli variazioni strutturali nel solo settore occidentale (la parte orientale fu abbandonata forse per via dei fenomeni di alluvionamento causati dal vicino torrente Molinara). Le profonde modifiche degli spazi, con realizzazione di muri divisori e ridefinizione degli usi dei vani, trasformarono l’abitato in un vicus, un agglomerato rurale con diverse singole abitazioni. La pars urbana venne trasformata in quartieri artigianali e produttivi: sono attestati resti di fornaci, calcare, di una vasca per lo spegnimento della calce e di un forno adibito alla fusione dei metalli. L’ultima frequentazione dell’area è attestata dalla presenza di tracce di un villaggio a capanne e di sette sepolture (di cui una bisoma). Al fianco di una di queste, una brocchetta infissa verticalmente nel terreno attesterebbe la pratica cristiana del rito del refrigerium.In questa fase si sta riprendendo il progetto di fruizione del sito, già stilato dopo la fine dello scavo: attraverso la redazione di un protocollo d’intesa tra gli uffici periferici del Ministero della Cultura (Segretariato Regionale del Ministero della Cultura per la Basilicata, Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio della Basilicata), Comune di Marsicovetere e Eni SpA Distretto Meridionale, si intende avviare un progetto di tutela, restauro e valorizzazione del sito. A cura di F. Tarlano (Funzionario Archeologo MiC e Direttore del Museo Archeologico Nazionale dell’Alta Val d’Agri e del Parco Archeologico di Grumentum) e di M.T. Merlino (Comune di Marsicovetere) LA TIPOLOGIA DELLA VILLA ROMANA IN BASILICATA Nelle fonti letterarie romane diversi autori (Catone, Varrone, Columella…) parlano di “villa” in merito a tipologie edilizie in ambito rurale del tutto differenti tra loro, dalla semplice fattoria a carattere produttivo alle lussuose dimore a carattere residenziale, ma caratterizzate da una collocazione in campagna e dalla compresenza di strutture connesse a funzioni produttive agricole e di allevamento e di un’area domestica destinata alla famiglia del dominus. Secondo Catone (Cato Agr. 3, 2; 4, 1), la villa si organizzava in una pars rustica (fattoria e spazi produttivi) e in una pars urbana (residenza del dominus); Columella (Colum. 1, 6, 1) vi aggiungeva un terzo settore, la pars fructuaria (connessa allo sfruttamento delle piantagioni).Il modello di “villa catoniana”, che si sviluppò tra II e I sec. a.C. inizialmente in Italia centrale, prevedeva attività imprenditoriali gestite direttamente da proprietari appartenenti alla classe media. Successivamente, in un periodo in cui nella società romana e nelle classi aristocratiche iniziò a diffondersi l’ideologia epicurea, la villa rurale rappresentava per il dominus il luogo dell’otium, la casa di campagna dove ritirarsi e dedicarsi ad attività intellettuali per riposarsi dalle attività politiche quotidiane. Con l’avvento dell’Impero, quando la politica non era più un’attività comune, la villa si trasformò e divenne il luogo dove gestire gli affari.  Inizialmente la planimetria della villa si rifaceva alla domus urbana (villa ad atrio e peristilio) con alcune variazioni (villa a peristilio e atrio); successivamente si svilupparono nuove tipologie (a due atri, ad atrio con hortus…), fino a giungere alla villa a padiglioni che costituì la tipologia più diffusa per tutto il periodo imperiale. Nella tarda antichità si sviluppò infine il modello della villa-praetorium, una vera e propria villa fortificata, che in parte riprendeva i caratteri della villa romana e in parte anticipava peculiarità tipiche di insediamenti dell’alto Medioevo.In Basilicata conosciamo numerosi esempi di villa romana e tardo antica. In un certo senso precursori della villa sono le numerosissime fattorie lucane, caratteristiche di un popolamento sparso di IV-III sec. a.C. sviluppatosi in relazione all’affermarsi del ceto medio all’interno delle società indigene. Tra le ville costruite nella seconda metà del II sec. a.C., che seguono il modello catoniano, ricordiamo Monte Irsi, sui resti di un insediamento d’altura precedente, Moltone di Tolve, Termitito, nella chora di Heraklea, Timmari presso Matera, Braida nel territorio di Brienza. All’inizio dell’età imperiale, viene realizzata la prima villa di San Giovanni di Ruoti. Una villa di un certo rilievo fu costruita sulla costa ionica a Cugno dei Vagni, nel territorio di Heraklea, dove si è ben conservato il complesso termale annesso. Nella Lucania interna, si data tra la fine del I sec. d.C. e gli inizi del II la prima fase della villa di Malvaccaro, vicino Potenza; allo stesso arco cronologico appartengono le fasi principali della villa di Masseria Ciccotti, presso Oppido Lucano. Altre ville della prima e media età imperiale sono attestate sulla costa di Maratea, in località Magnone nelle vicinanze di Atella, nelle località Piforni e San Pietro presso Tolve, a Calle e a Malcanale nel territorio di Tricarico, presso il Monte di Mella a San Mauro Forte, a San Gilio presso Oppido Lucano. In alta Val d’Agri, oltre alla villa di Barricelle di Marsicovetere, che rappresenta uno dei modelli più noti, un’altra villa tardo imperiale, con straordinari mosaici, è quella di Contrada Maiorano, presso Viggiano. BRUTTIA CRISPINA E LA STORIA DELLA POTENTE FAMIGLIA LUCANA DEI BRUTTII PRAESENTES La proprietà della Villa e del fundus viene attribuita dagli studiosi alla potente e ricca famiglia dei Bruttii Praesentes, nota alle cronache storiche per aver dato i natali a consoli e senatori, nonché alla “imperatrice lucana” Bruttia Crispinala quale, nel 178 d.C., fu presa in sposa dall’imperatore Commodo. In seguito all’unione matrimoniale, anche la Villa romana di Barricelle divenne di proprietà imperiale, acquisendo un nuovo volto all’insegna del lusso e della ricchezza, come dimostrano i reperti rinvenuti. I Bruttii Praesentes rimasero a lungo sulla scena politica accumulando vasti possedimenti tra la Lucania e l’Apulia.L’attribuzione della proprietà della Villa romana alla famiglia dei Bruttii Praesentes è stata possibile grazie al rinvenimento, durante le operazioni di scavo, di dodici tegole bollate entro il quale è riprodotta la formula onomastica che rimanda a Caius Bruttius Praesens.I Bruttii Praesentes furono una delle famiglie più importanti della Lucania del tempo, che iniziò la sua fortuna con C. Bruttius Praesens L. Fulvius Rusticus, il nonno dell’imperatrice Bruttia Crispina. Nato nel 68 d.C. ebbe una fortunata carriera politica. Fu console per la prima volta nel 118 d.C. e una seconda volta nel 139 d.C. Le sue fortune iniziarono sotto Domiziano che lo insignì del titolo di tribuno militare tra l’88 e l’89, fu questore nella Betica tra il 92 e il 95 e nel 114 d.C. ottenne i dona militaria dall’imperatore Traiano, per aver conquistato l’Armenia. Fu legato all’imperatore Adriano da una forte amicizia. Da lui, nel 118, ottenne il primo consolato e divenne membro del collegio sacerdotale. Nel 139 d.C. gli fu attribuito il secondo consolato conquistando l’accesso al patriziato e forse alla Praefectura Urbis, una delle più alte cariche dello stato. Il figlio Presente, nato dal matrimonio con Laberia Crispina, si ispirò alla carriera politica del padre essendo stato anch’egli questore, pretore ed anche console, carica che gli permise l’ingresso nei Sodales Antoniniani. Nel 177 d.C. partecipò con successo alla spedizione militare sarmatica al fianco di Marco Aurelio. È all’anno successivo che si fa risalire il matrimonio tra i figli di Marco Aurelio e Caius Praesens: Commodo e Bruttia Crispina. Costei fu un’imperatrice molto amata dai suoi sudditi. Ritenuta donna di altissimo rango e di onorabile status, molti furono gli encomi a lei tributati, ancora oggi attestati nei reperti emersi nella Villa romana di Barricelle, quali statue, iscrizioni, monete con la sua effige. Fu così venerata che le fu conferito il titolo di Augusta, come solo a poche altre donne imperiali. Interessanti sono le raffigurazioni del suo volto nei coni monetali, da cui si può evincere l’uso della sua pettinatura. Uno dei ritratti più famosi può essere ammirato ancora oggi nel Museo Nazionale Romano. In esso l’imperatrice è ritratta con un volto spiritualizzato e un portamento semplice. Si possono notare gli occhi volti di lato e la pettinatura tipica dell’epoca adrianea, detta ‘a melone’. Se in età Flavia le acconciature erano complesse con molte applicazioni posticce, tanto che le donne aristocratiche ricorrevano alle pettinatrici, dette ornatrices, nell’epoca di Adriano le pettinature femminili ritornarono alla classicità delle epoche precedenti. Non vi erano elementi posticci ed i diademi erano meno sfarzosi. L’imperatrice Bruttia Crispina è ritratta dagli scultori, infatti, con un’acconciatura sobria e naturale, ripartita in due bande da una scriminatura centrale. I capelli sono rialzati sulle tempie e radunati al centro da una crocchia/matassa.Bruttia Crispina potrebbe essere annoverata tra le imperatrici sfortunate, che la storia di tutti i tempi ha consegnato all’attualità. Malauguratamente anche la vita dell’imperatrice si concluse con una condanna di adulterio, che le causò la morte. Il matrimonio con Commodo durò, infatti, il tempo breve di quattordici anni. Forse per ragioni di natura politica, o per motivazioni non attestate dagli esperti, fu esiliata con la sorella Lucilla nell’isola di Capri. Entrambe furono condannate a morte, la prima con l’accusa di adulterio, la seconda con la condanna di aver preso parte, nel 182 d.C., alla congiura contro il divino imperatore. Il sarcofago dell’imperatrice fu conservato nella Chiesa di San Costanzo (Marina Grande) a Capri fino all’invasione dei francesi di Gioacchino Murat, nel 1810, quando la tomba fu violata. Lo scheletro di Crispina apparve ai conquistatori avvolto da vesti di oro e d’argento, adornati di gioielli. L’imperatrice racchiudeva tra le mani uno scettro con cerchi d’oro e nella bocca l’aureo d’oro (moneta) di Vespasiano (obolo per Caronte traghettatore dello Stige). Così si concluse la vita dell’ “imperatrice lucana”, una donna alla quale il destino riservò una vita gloriosa e una fine tragica. GRUMENTUM. UNA GRANDE CITTA’ ROMANA A POCHI PASSI DALLA VILLA DI BARRICELLE In una prima fase, agli inizi del III secolo a.C., Grumentum fu un piccolo insediamento lucano, probabilmente alleato a Roma. Come narra Livio, due episodi di guerra interessarono il suo territorio durante la seconda Guerra punica, quando Annibale attraversò la Lucania e combattè alle porte dell’abitato. Successivamente, il centro fu distrutto durante la Guerra sociale, come riportano Seneca, Appiano e Macrobio. Nel I sec. a.C., Grumentum fu rifondata dai Romani come colonia, con caratteri di polo di controllo amministrativo e produttivo dell’intera Val d’Agri, e raggiunse un notevole sviluppo economico e culturale, reso evidente dalla presenza di un considerevole impianto urbanistico ricco di monumenti.Da questo momento, la città assunse l’immagine di “piccola Roma”: vi furono realizzati i maggiori monumenti pubblici tipici delle città romane (un anfiteatro, un teatro, un’area forense con templi ed edifici civili, come la basilica, due impianti termali), oltre a diverse domus arricchite di splendidi mosaici pavimentali. Tra II e III secolo d.C. la città visse il suo periodo più florido, a controllo di un territorio ricco di produzioni di vini e carni suine di pregio, e il suo territorio fu interessato dal passaggio della via Herculia, strada consolare realizzata con lo scopo di connettere Grumentum, che mantenne la sua importanza anche nella tarda antichità, alle grandi direttrici (l’Appia a nord e la Popilia/Regio-Capuam a sud).A seguito del martirio di San Laverio proprio nei pressi della città, divenne centro cristiano e poi sede vescovile. Il lento declino, causato anche dall’instabilità economica e politica che si determinò a partire dall’alto medioevo, portò all’abbandono definitivo del sito attorno al IX secolo e allo sviluppo del borgo medievale di Saponaria – Grumento Nova e degli altri borghi dell’alta Val d’Agri.Attualmente nell’area archeologica sono visibili diversi complessi monumentali, che si sviluppano prevalentemente attorno all’asse stradale principale (teatro, templi, domus, foro, impianti termali, anfiteatro). L’abitato era racchiuso in una cinta muraria di circa 3 Km e presentava un impianto urbanistico organizzato in isolati regolari. Nei pressi, si colloca il Museo Archeologico Nazionale dell’Alta Val d’Agri, presso il quale sono conservati i reperti provenienti dal territorio, e anche dalla villa romana di Barricelle. Foto Archivio SABAP Basilicata Foto Archivio SABAP Basilicata Foto Archivio SABAP Basilicata – MINOLTA DIGITAL CAMERA Foto Archivio SABAP Basilicata Foto Archivio SABAP Basilicata Foto Archivio SABAP Basilicata – Marsicovetere, Barricelle, loc. Molinara ’07 Villa RomanaSito 39 – Saggio I – Amb. 2 – E10 – US 88Rep. 406Matrice bollo in br e posit. Foto Archivio SABAP Basilicata Foto Archivio SABAP Basilicata Foto Archivio SABAP Basilicata Foto Archivio SABAP Basilicata Foto Archivio SABAP Basilicata Foto Archivio SABAP Basilicata Foto Archivio SABAP Basilicata Foto Archivio SABAP Basilicata

Se c’è una donna che susciti interesse in qualsiasi persona che faccia la sua conoscenza, questa è Maria Teresa d’Asburgo. Con il suo carisma e la sua forte personalità atterrisce tutti. Per una donna dominare un impero conservando la propria essenza, grazia e femminilità, è cosa assai complicata. Eppure lei ce la fa! Scopriremo ascoltando le sue parole che anche un’imperatrice e dominatrice di un impero così vasto può essere romantica ed amare smisuratamente. Siamo entrati con le telecamere nella dimora di Hofburg a Vienna per intervistare la “Giovanna d’Arco del Danubio. Generosa, bella e coraggiosissima”, com’è stata definita dal governo britannico. Ci ha accolti in una delle sale del Leopoldinischer Trakt. Ci ha fatti accomodare in uno dei salottini dalle striature azzurre ed io, intimorita dalla sua presenza autorevole, ho iniziato a stuzzicarla e a strapparle un sorriso ricordandole fatti legati alla sua infanzia. Com’è stata la sua infanzia, ricorda un episodio in particolare? Se potessi definire la mia infanzia penserei ad un festoso carosello ricordandomi un bellissimo episodio di quando ero bambina. Avevo appena cinque anni. Mio padre Carlo VI fece letteralmente allagare dai suoi servitori la piazza interna di Hofburg che durante la notte di luna piena si gelò completamente, fino a divenire una pista di ghiaccio. Grazie a questo, io potei giocare e scorrazzare per ore con una piccolissima slitta dorata trainata da due cavallini bianchi. Ricordo ancora che, avvolta da una cuffia e da guanti di pelliccia, respirai a pieni polmoni l’aria frizzante di quel periodo gelido per Vienna e mi divertii tantissimo. Fu una giornata fantastica. Era affettuoso suo padre, Carlo VI? Mio padre era profondamente legato a me. La sua più grande preoccupazione è stata quella di mantenere unita la Casa d’Asburgo, la Erzhaus, com’è stata denominata di generazione in generazione. Come è a tutti noto è grazie al suo decreto regio che io sono diventata imperatrice, la cosiddetta Prammatica sanzione, che mio padre stipulò per permettere al suo primogenito, fosse maschio o femmina, di governare sui suoi regni. Nonostante il suo essere molto rigoroso, mi perdonava quasi tutto; ad esempio che io spesso facessi lunghe e spericolate cavalcate nel parco delle ville di famiglia. Tra queste la Favorita che è situata su un’altura fuori dalle mura, vicina al Belvedere per intendersi. Qui ci trasferivamo con la mia famiglia, da aprile a settembre, per godere della luce e del verde. E poi era affettuoso. Quando era sereno e nella pace della famiglia cantava con noi, ci recitava filastrocche, si travestiva da orco. Ci abbracciava e baciava teneramente. L’imperatore ogni giorno prendeva i pasti con noi in modo che non ci mancasse mai la sua presenza. Ho voluto credere che tra noi ci fosse un’intesa anche nelle occasioni pubbliche. Racconto un aneddoto. Quando fu consacrato re di Boemia nella cattedrale di San Vito a Praga, ricorderò per sempre! Sfilando lungo le navate della cattedrale boema per un attimo mi sfiorò con lo sguardo accennandomi un sorriso compiaciuto. Voglio conservare questo ricordo tenero di lui. Ho sempre amato raccontare questo particolare ai miei figli come anche il mio smodato desiderio di correre tra le sue braccia quel giorno! Crede nell’amore? Su questa domanda, mi perdonerete, devo dilungarmi. A soli sei anni mio padre aveva scelto per me un fidanzato: Clemente, duca di Lorena. Tutto questo su suggerimento di Eugenio di Savoia, principe mercenario che ha combattuto tutta la vita al servizio della Casa d’Austria. Il consiglio era dovuto ad un particolare importantissimo per la Erzhaus. Carlo di Lorena, il padre di Clemente, era stato determinante nella cacciata dei turchi dai confini dell’impero austriaco. Tra le altre cose bisognava rafforzare i legami e stringere alleanze con le casate nobiliari europee, visti i malumori che aveva provocato la stipula della Prammatica sanzione; anche utilizzando le parentele già acquisite. Mio nonno infatti e il nonno di Clemente erano cognati. Eppure Dio mi ha assistita anche in questo dandomi la possibilità di scegliere e sposare il grande amore della mia vita: Francesco Stefano di Lorena. Clemente, das Wunderkind, il ragazzo prodigio, purtroppo è stato ucciso dal vaiolo. Il giorno stesso della sua morte il padre Leopoldo ha fatto consegnare da un messo a mio padre, l’imperatore, una proposta di matrimonio con il suo primogenito: il duca Francesco Stefano, l’uomo che è poi diventato mio marito. La nostra è stata un’esperienza di amore e di sofferenza al contempo. Mio padre sin da subito ha avuto forti dubbi su di lui, sia perché aveva appreso che non fosse così brillante come il fratello e sia perché si mormorava che subisse l’influenza della madre, Elisabetta d’Orléans nipote di Luigi XIV, storico nemico dell’Austria. Ascoltando Eugenio di Savoia, ormai consigliere di corte, l’imperatore lo ha invitato a corte assumendolo come suo paggio. Sono certa che mio padre in cuor suo, per togliersi la grave incombenza di riconoscere il principe consorte dell’erede al trono, sperava nascesse un maschio. Mia madre, Elisabetta Cristina, era incinta. Ma evidentemente non è stato così. Quando è arrivato a corte Franz, come da subito lo abbiamo denominato, ha affascinato tutti. Lui era alto, biondo, bellissimo. Mi sono invaghita di lui, nonostante fossi molto giovane. Da subito entrambi ci siamo innamorati. Ricordo che mi faceva consegnare dalla contessa Fuchs fiori e cioccolatini di color celeste avvolti in una carta con le insegne della Lorena. Tanti sono stati i miei pretendenti ed anche i rifiuti alla volontà dell’imperatore Carlo. Tra questi don Carlos di Spagna, scelta strategica che avrebbe riportato un Asburgo a regnare sui domini spagnoli. Eugenio di Savoia aveva anche consigliato a mio padre che io sposassi mio cugino Massimiliano di Baviera, ma avrebbe avuto dieci anni in meno di me. So anche che la proposta è stata fatta al principe ereditario di Prussia, figlio del re Federico Guglielmo. Ma lui si è rifiutato non volendosi convertire al cattolicesimo, conditio sine qua non per entrare a far parte della Erzhaus. Io sono stata irremovibile mostrando senza vergogna i miei sentimenti, nonostante fossi informata sui miei pretendenti. Avevo deciso ormai di sposare Franz. Ricordo ancora i pianti e le minacce di chiudermi per sempre in un convento pur di convincere mio padre della mia decisione. L’amore tra me e Franz è stato turbolento perché più volte siamo stati tenuti lontani, ma la nostra volontà ha vinto su tutte le altre. Per un periodo Francesco Stefano è tornato in Lorena per adempiere ai suoi doveri di primogenito e sistemare gli affari di famiglia e di Stato dopo la morte del suo primo fratello e del padre; per stare vicino a sua madre e ai suoi fratelli minori. E i nostri distacchi sono stati di grande sofferenza. Lo confesso, noi avevamo stretto un patto segreto: anche senza il consenso di nostro padre ci saremmo sposati. Da giovane amavo farmi narrare le saghe e i racconti gotici, dove l’amore trionfava anche sulla morte. E ci ho creduto anch’io fino in fondo. Ricordo ancora quando io e Franz nei suoi periodi di assenza (era stato inviato dall’imperatore come suo rappresentante in Ungheria, a Magonza, a Presburgo) ci scambiavamo le lettere in cui ci promettevamo vicinanza e fedeltà per sempre. Lo chiamavo <> e lui <>. Mi sovvengono bellissimi ricordi. Siamo stati sempre convinti che saremmo stati l’uno il compagno dell’altra. E non potrò mai dimenticare che per sposare me Francesco Stefano ha ceduto la sua amata Lorena. E’ stato Luigi XV a chiedere in cambio della sua deposizione delle armi la piccola Lorena: per la Francia piccolo territorio strategico. La guerra, ricordo, è scoppiata dopo la cessione della Polonia da parte di Carlo VI al marito di mia cugina, Maria Giuseppa, Augusto re di Sassonia. Il re di Francia lo rivendicava per il suocero Stanislao Leszczynski. Da qui è nato il suo desiderio di combattere contro la Erzhaus. Io avevo capito tutto e così anche Franz. Ma il nostro amore ha vinto su ogni ragione di Stato. Mio marito è stato l’uomo migliore del mondo. Da imperatrice, come mi consigliava il maestro di etichetta, avrei dovuto dormire da sola per essere pronta sempre a ricevere i miei ministri. Mi sono sempre rifiutata. Non ho mai rinunciato ai miei diritti di donna sia con mio marito che con i miei figli riservandomi sempre le ultime ore della mia giornata per dedicarmi a loro. Ne ho avuti ben 16, 11 femmine e 5 maschi. Tra quest’ultime due sono regine: Maria Antonietta divenuta moglie di Luigi XVI di Francia e Maria Carolina che ha sposato Ferdinando di Borbone, re di Napoli e di Sicilia. Il mio Consiglio aveva ricevuto l’ordine di avvisarmi ed interrompermi ogni qualvolta uno di loro non fosse stato bene. A Franz ho perdonato tutto anche le scappatelle nei miei momenti di assenza, per i miei pesanti impegni governativi. Nonostante la mia fede cattolica e il rigore con cui sono stata educata … Continua a leggere nel prossimo numero del magazine Intervista immaginaria all’imperatrice Maria Teresa d’Asburgo. I contenuti sono tratti da “Maria Teresa. Una donna al potere” di Edgarda Ferri Didascalia Immagine: Ritratto dell’imperatrice Maria Teresa d'Asburgo (Vienna 1717 – 1780) MARTIN VAN MEYTENS (STOCCOLMA 1695 - VIENNA 1770) BOTTEGA @Maria Teresa Merlino